mercoledì 29 ottobre 2014

Altre riflessioni sulla moneta complementare statale


In merito al progetto CCF, stiamo raccogliendo pareri e commenti di diversi economisti. Trovate qui di seguito una serie di mie considerazioni in risposta ad alcune opinioni che abbiamo ricevuto. Non cito l’autore delle argomentazioni a cui replico, e non le riporto testualmente, solo perché mi manca il tempo di riceverne autorizzazione. Credo, comunque, che siano facilmente intuibili dalle mie risposte.

 

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Sotto il profilo strettamente giuridico, con particolare riferimento ai trattati che governano il funzionamento dell’Eurozona, la proposta CCF si muove inevitabilmente in un’area “ibrida” o “grigia”, appunto perché introduce uno strumento innovativo, che non era stato concepito del momento in cui i trattati venivano redatti. La mia opinione, comunque, è che la coerenza dei CCF con i trattati è sostenibile con argomenti più forti di quelli che sono stati adottati a supporto dell’OMT, o degli acquisti di titoli italiani e spagnoli effettuati dalla BCE ancora nel 2010-2011.

 

Ciò premesso, gli argomenti più solidi a supporto di un’innovazione come i CCF sono politici e “fattuali”. Il sistema odierno non regge, i tentativi di negare la realtà stanno producendo danni economici e sociali sempre più gravi, e minano la stabilità politica di tutti i paesi dell’Eurozona mediterranea. Accettare questa realtà e trarne le dovute conseguenze si scontra con le inerzie e le resistenze dei processi decisionali e di potere, ma i fatti spingono in questa direzione e non saranno sottigliezze giuridiche, peraltro altamente opinabili, a bloccare questo processo.

 

Non c’è dubbio che i CCF non risolvano temi di fondo quali il problema della creazione privata di moneta e le sue conseguenze sull’instabilità cronica del sistema finanziario. Vanno però nella direzione giusta perché sono un modo rapido ed efficace per immettere potere d’acquisto nell’economia reale, mediante uno strumento monetario di diretta emissione e gestione da parte dello Stato. Sono in grado di risolvere questa crisi e anche altre eventuali future prodotte dall’instabilità del sistema finanziario: rimane poi aperta la riflessione su come PREVENIRE queste crisi, e qui entrano in gioco le riflessioni in merito all’evoluzione della regolamentazione, alla reintroduzione della separazione banche commerciali / banche d’investimento, a “Positive Money” eccetera. Su cui occorre lavorare e lo stiamo facendo – ma che non devono bloccare gli interventi la cui necessità è imminente, anzi immediata. Non ci sono ancora le condizioni per riformare il sistema finanziario nella sua interezza, ma questo non deve assolutamente essere un indugio a risolvere il problema odierno.

 

La proposta CCF si collega poi a idee come quella dei “BTP fiscali” che accelerano ulteriormente il processo di “rinazionalizzazione” del debito pubblico, cioè della progressiva (ma rapida) trasformazione del debito non sovrano (quello in euro, cioè il debito vero, soggetto a rischio di default) in strumenti monetari non soggetti a default (CCF e BTP fiscali), che di fatto sono forme di moneta nazionale. A mio parere questo processo, con un corretto intervento di stimolo della domanda e dell’economia come quello consentito dai CCF, potrà essere effettuato senza ricorrere ad azioni coercitive. Detto questo, se fosse necessario, o politicamente opportuno, introdurre una forma (nei fatti) di imposizione patrimoniale mediante sostituzione forzosa di titoli in euro con BTP fiscali, in un contesto di domanda e di economia che ripartono, per accelerare il processo di “rinazionalizzazione” sopra descritto, si tratterebbe di un’azione molto più indolore delle ipotesi di ristrutturazione che vengono di tanto in tanto ventilate (e che senza una contestuale azione espansiva sulla domanda non risolverebbero, in realtà, la crisi in atto).

 

PS in merito a quest’ultimi punto, ribadisco che, a mio parere, sono azioni assolutamente non necessarie. Ne parliamo a breve (ho promesso alcune analisi numeriche, come qui accennato, e manterrò la promessa, credo già con il prossimo post…).

25 commenti:

  1. Ma se uno Stato non abbassa le tasse a cosa serve stampare moneta?

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    1. Infatti i CCF vengono emessi, principalmente, per ridurre l'impatto della tassazione. Vedi il link all'inizio dell'articolo.

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    2. Abbassate le tasse stampando moneta? Il discorso non torna.

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    3. Diamo moneta a chi paga tasse, e quindi riduciamo l'impatto della tassazione.

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    4. Ma non basta abbassare semplicemente le tasse?

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    5. Sì, se viene fatto senza tagli di spesa compensativi (altrimenti una manovra elimina gli effetti dell'altra).
      Ma questo equivale a innalzare il deficit pubblico e ad emettere più debito. Se l'eurosistema continua a non accettare lo sforamento dei vincoli, l'unica alternativa è effettuare azioni espansive emettendo una propria moneta.

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    6. Esiste un limite di spesa/pil che intendete mantenere e clausole di salvaguardia? Lo Stato manterrà un rapporto di cambio con l'Euro?

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    7. Il rapporto di cambio con l'euro in realtà sarà un tasso di attualizzazione di mercato. Per esempio se i tassi saranno intorno al 2%, quindi al 4% su due anni, un CCF appena emesso per un valore facciale di 100 euro sarà vendibile per 96 euro cash. Questo valore potrà variare - lo Stato non si impegnerà a mantenerlo a livelli prefissati. Ricordiamoci comunque che sono soldi IN PIU' che gli assegnatari - aziende e lavoratori in primo luogo - si trovano in tasca senza contropartita. Che siano all'atto pratico 94 o 98 non cambia il fatto che è una grossa iniezione di potere d'acquisto (o una grossa riduzione dei costi sostenuti dalle aziende, a seconda).
      Clausole di salvaguardia nei confronti della UE ? Se l'atteggiamento è cooperativo, quello che ha senso prevedere è una riduzione graduale nel tempo del rapporto debito pubblico / PIL fino al 60% e nei vent'anni (o anche un periodo più breve) previsti dal Fiscal Compact, intendendosi per debito quello CHE NON INCLUDE CCF E BTP FISCALI.
      Limite di spesa / PIL: è una decisione politica, partendo dal presupposto che l'innovazione CCF + BTP fiscali consente di sviluppare politiche di piena occupazione, stabilità monetaria, equilibrio dei saldi commerciali esteri e riduzione del debito VERO (quello da pagare in moneta non sovrana, l'euro), l'assegnazione dei CCF può essere rivolta prevalentemente alla riduzione del carico fiscale o all'incremento della spesa pubblica. La nostra proposta punta più sulla prima che sul secondo. Ma non trovo necessario introdurre paletti rigidi.

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    8. Se i CCF hanno le stesse funzioni degli euro, gli euro stessi si svaluteranno dello stesso importo dei CCF immessi. Il potere di acquisto non aumenta. Dove sta il vantaggio?

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    9. Se non interpreto male il suo commento, la sua ipotesi è che i CCF, espandendo la quantità di moneta in circolazione, creeranno inflazione, senza beneficio per produzione e occupazione. Il punto è che non sarà così perché esiste un altissimo livello di risorse produttive inoperose (disoccupazione di persone e impianti). La moneta stimola domanda e (nelle condizioni attuale) produzione, non incremento nei prezzi, perché l'offerta sale in parallelo con la domanda. Non sarebbe così se non esistesse un alto livello di capacità produttiva inutilizzata. Vedi anche qui.

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    10. non serve a niente produrre prodotti che nessuno compra né a casa tua e né all'estero. dovresti alzare barriere commerciali ma si ritorce contro di te. devi abbassare le tasse non inserire moneta per pagare tasse che si alzeranno di pari passo.

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    11. L'Italia realizza 470 miliardi di esportazioni, il che significa che i suoi prodotti all'estero vengono comprati, eccome. Il progetto CCF prevede una forte riduzione del carico fiscale sul lavoro, e questo aumenterà ulteriormente il potenziale di export.

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  2. Più che l'inflazione ci sarà una svalutazione delle due monete che non apporterà vantaggi al potere di acquisto che rimarrà dello stesso valore attuale. Inoltre nella proposta non c'è scritto se lo Stato continuerà ad accettate euro per le tasse e/o se cambierà idea in futuro.

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    1. Il punto non è "portare vantaggi al potere d'acquisto" ma recuperare produzione e occupazione. Un obiettivo assolutamente conseguibile nel momento in cui si rimette in circolazione domanda e potere d'acquisto.
      Sull'altro tema che lei pone: lo stato accetterà euro e CCF per il pagamento delle tasse, indifferentemente. Nella sua forma attuale, tra l'altro, il progetto prevede che ogni anno vengano a maturazione un massimo di 200 miliardi di CCF, a fronte di incassi totali della pubblica amministrazione italiana di circa 800. Il che significa che, a dati attuali, 600 circa all'anno continueranno a essere pagati in euro. In realtà le cifre complessive saliranno a causa del maggior gettito prodotto dalla ripresa dell'economia.

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    2. Ma il rialzo della produzione dovrà essere assorbito dall'estero per creare occupazione in Italia. Attualmente i costi di produzione in Italia sono fuori mercato. A chi venderemo merci a prezzi fuori mercato?

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    3. Oggi realizziamo 467 miliardi di export, con un saldo commerciale attivo per 48 (dati Banca d'Italia, dodici mesi settembre 2013 - agosto 2014). Le nostre aziende non sono fuori mercato: manca la domanda INTERNA. All'estero vendono. E il progetto CCF riduce di un ulteriore 18% il costo del lavoro (intervenendo sul cuneo fiscale). Ulteriore forte spinta alla competitività.

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    4. Ma l'Italia è tornata in surplus non grazie alla competitività dei suoi prodotti ma solo perché la Germania dal 2011 in poi ha bloccato le esportazioni a debito verso l'Italia ribaltando la bilancia commerciale italiana nel tentativo estremo della Germania di rientrare dell'esposizione tedesca verso Italia. La dimostrazione che il surplus italiano non è conseguenza della competitività dei suoi prodotti è comprovato dalla delocalizzazione delle aziende.

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    5. Il suo commento ha degli elementi di verità ma è necessario chiarire alcune cose.
      Il saldo delle partite correnti italiane è arrivato, nell'anno peggiore (2010), a essere negativo per il 3,5% del PIL. Un livello molto meno pesante rispetto agli altri PIIGS, che hanno raggiunto il 5,7% (Irlanda), il 10% (Spagna), il 12,6% (Portogallo) e il 14,9% (Grecia).
      Di conseguenza il debito netto italiano verso l'estero non è mai arrivato ai livelli raggiunti dai paesi in difficoltà dell'Eurozona mediterranea. Veda per esempio i dati riportati qui.
      Gli altri PIIGS hanno avuto, prima della crisi, livelli di crescita relativamente alti, finanziati da debito estero. L'Italia è invece cresciuta poco ma ha anche incrementato poco il debito netto verso non residenti.
      L'Italia ha effettivamente perso competitività nei confronti della Germania, ma nel suo caso il debito che preoccupava non era tanto quello estero in generale, ma il debito pubblico, sia per la componente detenuta da investitori esteri, che per quella posseduta da investitori istituzionali italiani che sarebbero stati travolti da un default dello stato italiano (o, nel caso degli esteri, subirebbero grosse perdite in caso di svalutazione successiva a un breakup).
      E' vero che dopo il 2011 è stata l'austerità a riportare in attivo il saldo commerciale italiano (+3% per i dodici mesi ad agosto 2014) e il saldo delle partite correnti (+1,7%). Questo non cambia il fatto che, se oggi l'Italia rilancia fortemente la sua domanda E NELLO STESSO TEMPO riduce il costo del lavoro lordo (intervenendo sul cuneo fiscale) - quindi se effettua le azioni prevista dal progetto CCF - ha tutto lo spazio che serve per generare una forte ripresa di domanda, produzione ed occupazione, mantenendo in equilibrio i saldi commerciali con l'estero.

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    6. Ma l'1% italiano non corrisponde all'1% greco. Le banche tedesche sono esposte per 100 miliardi (più o meno) verso l'Italia e di 60 (più o meno) per tutti gli altri 4 piigs messi insieme. Spagna a parte, finita sotto controllo. Invece delle percentuali mettiamo per iscritto le quantità e la realtà sarà più chiara a tutti. O no?

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    7. Infatti le banche spagnole sono state ricapitalizzate (anche con i soldi italiani...).
      L'Italia è più grande della Grecia, certo. E allora ? il punto è un altro: se l'Italia attua una manovra espansiva abbinata con la riduzione della tassazione sulle produzioni domestiche, è in grado di avviare una forte ripresa mantenendo in equilibrio i saldi commerciali esteri. La via per risolvere la crisi è questa. Altrimenti saremo ancora qui a parlarne tra dieci anni, ammesso (come c'è da temere) che non si verifichi un collasso politico e sociale molto prima.

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    8. Detassare le produzioni domestiche significa ritrovarsi con sanzioni contro l'export italiano. L'autarchia è un errore perché gli altri Paesi ti copiano i prodotti e ti escludono dai loro mercati. In pratica cornuto e mazziato.

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    9. Ma quale autarchia ? qui si parla di ridurre la tassazione, non di introdurre nessun tipo di barriera commerciale. Le scelte fiscali dei singoli stati sono assolutamente libere: l'unione fiscale non esiste, non è in programma e non la vuole nessuno (men che meno i tedeschi, visto che fatalmente si dovrebbe collegare a un sistema di trasferimenti da aree ricche ad aree povere...)

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    10. Ma se detassa le produzioni domestiche di fatto è un "dazio" su tutte le altre. Posso detassare casomai le industrie che producono in Italia o che vogliono venire a produrre in Italia ma senza differenze di tassazione sui prodotti che si ritorcerebbe contro l'export italiano. O no?

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    11. Infatti, per produzione domestiche si intende quelle realizzate in Italia, senza discriminazioni tra gruppi italiani o stranieri. E la principale via proposta per realizzare questo obiettivo è ridurre il carico fiscale e contributivo sui costi di lavoro.

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    12. Ah ecco mi sembrava...

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